Ho finito di leggere il libro “Włosi” (Italiani) di Maciej Borowski. Lo ha scritto un polacco che ha vissuto dieci anni in Italia e in questo libro voleva dare una descrizione soggettiva del bel paese.
A giudicare dalla copertina mi aspettavo molto peggio. L’autore però non racconta cose false e cita le fonti (che possono essere articoli o libri) di molte delle cose che scrive, ma è indubbio che si tratta di un libro soggettivo e l’autore stesso lo scrive e questo lo si vede anche dagli argomenti di cui decide di parlare e da quelli che decide di evitare.
Come molti libri scritti da stranieri sull’Italia, pone molto accento sulle differenze regionali e sui dialetti che gli Italiani difendono vigorosamente. Il che è molto diverso dalla Polonia, dove praticamente non esistono accenti regionali, con le sole grosse eccezioni della Slesia e della Casciubia. Mi ha sorpreso che nel libro si affrontasse il tema del mezzogiorno, entrando in temi ancora in parte tabù in Italia, come la repressione del brigantaggio e la svendita del sud dopo l’unità d’Italia. Della mafia si parla sorprendentemente poco, la criminalità in generale è un argomento poco interessante per i polacchi, poiché ce n’è abbastanza in Polonia - se fosse un libro di un tedesco o di un americano, se ne parlerebbe minimo per un intero capitolo.
Non mi sorprende invece, che non si parli degli ampi diritti di cui godono le minoranze linguistiche in Italia, come i tedeschi dell’Alto Adige, non ne hanno altrettanti le minoranze tedesche in Polonia. Altri argomenti che potrebbero essere controversi in Polonia vengono evitati. Non si parla, ad esempio, delle ineguaglianze e delle lotte di classe, del terrorismo, dei sindacati, del fatto che molte ditte chiudono in Italia per aprire in Polonia, dove i costi del lavoro sono inferiori. In generale sulla politica si limita a scrivere che gli italiani aspettano ancora “il Salvatore” e che comunque, nonostante tutto, la politica in Italia non divide la gente come in Polonia. Il che è un’opinione perlomeno soggettiva.
Dedica un intero capitolo alla storia della moda in Italia, ma non dice praticamente niente sullo sviluppo industriale del bel paese. Che l’Italia abbia la seconda capacità produttiva in Europa, dopo la Germania, non gli interessa. E’ evidente che l’autore non ama parlare di economia ed industria, però scrive che in Italia comunque “valgono le regole del business internazionale”. In base alla mia esperienza, questa è un’affermazione molto pericolosa da fare in Polonia, dove a molta gente piace credere che basti conoscere un po’ d’inglese ed alcune fantomatiche regole di business internazionale per avere successo ovunque. Ma io credo che senza conoscere le specificità del paese, in particolare di un paese come l’Italia, il successo sarà limitato.
Probabilmente la cosa nel libro che mi è sembrata più balorda è l’affermazione che gli Italiani non leggono, quei pochi che vedi con un libro hanno la batteria del telefonino o del portatile scarica. Cita delle statistiche, peccato che ne esistano di analoghe per la Polonia che dimostrano che i polacchi leggono ancora meno! E guarda dall’alto al basso gli italiani adulti che leggono fumetti, che secondo lui sono roba per bambini. In Polonia il fumetto come forma di letteratura, a parte poche eccezioni come Thorgal, non è infatti conosciuto.
Mi è invece piaciuto il capitolo sulle abitudini alimentari degli Italiani. Gli italiani, è vero, mangiano la frutta di stagione. In Polonia (come in Germania) trovi ad esempio le arance tutto l’anno, ma ci vuole fantasia a chiamarle arance - infatti quando tornavo dall’Italia in auto avevo sempre il baule pieno di frutta fresca. Accenna a certe curiose abitudini degli italiani, come il cappuccino che si può bere solo di mattina o il fatto che il formaggio non si mette sugli spaghetti allo scoglio. E insegna ai polacchi che sulla pizza non si mette il ketchup, questa è una pessima abitudine che hanno preso dagli americani che a loro piace imitare anche nelle cose sbagliate.
Sicuramente però per un polacco vale la pena leggere questo libro se non altro per imparare i tranelli più comuni di quando si impara l’italiano. “Figa” in italiano è una brutta parola e non un nome che si dà a una gatta o ad una cagnolina come in Polonia, bisogna inoltre fare attenzione alle doppie e a non confondere “penne” con “pene” oppure “anni” con “ani”. Come d'altra parte in polacco “Kurwa” è una brutta parola da evitare e non ha niente a che vedere con le curve. Che non vi capiti di fare un incidente in macchina come è quasi successo a un mio conoscente quando ha detto al suo autista polacco “Attento alla curva!”.